Storie di Rifugiati Siriani

Posted in interpretariato, rifugiati siriani, Traduzioni with tags , , , , , on 13 aprile 2015 by pensabeneperez

In questo post raccolgo i video che ho tradotto per l’UNHCR.

L’anno scorso sono stato due volte a bordo delle navi di Marenostrum (San Giusto e San Giorgio) per conto dell’Alto Commissariato per i Rifugiati, raccoglievamo storie di migranti siriani e li seguivamo nel loro viaggio verso al-amàn (la salvezza), in un caso sono arrivato addirittura in Belgio. Trovandomi sulla nave, oltre a tradurre simultaneamente le interviste ai siriani, fungevo anche da interprete tra i migranti e l’equipaggio.

Altre volte (interviste in Grecia e a Milano) non ero presente, ho solo tradotto i dialoghi in arabo.

–  la storia di Tha’ir e Thamer, due ragazzi siriani scampati a un naufragio di un barcone.

–  il video della missione sulla San Giorgio e il successivo spostamento in treno verso Milano

–  su nave San Giusto e nave Vega

–  la storia di Jihane, una mamma siriana cieca, profuga in Grecia

–  la storia di un adolescente siriano (curdo) in Grecia

–  una famiglia siriana a Samos

–  La stazione di Milano e i rifugiati siriani

(spesso le traduzioni sono state modificate dai curatori del video per necessità tecniche, quindi non sempre corrispondono esattamente al parlato) 

UN AMORE STRAORDINARIO PER UNA DONNA STRAORDINARIA – Nizar Qabbani

Posted in Amore, letteratura araba contemporanea, poesia with tags , , , on 24 gennaio 2012 by pensabeneperez

Traduzione della prima strofa della poesia di Nizar Qabbani “Un amore straordinario per una donna straordinaria” (حب استثنائي لامرأة استثنائية).

(Quando dice “Una quarta religione” sottintende al fatto che tradizionalmente le religioni sono 3: islam, cristianesimo ed ebraismo)

Quel che più mi tortura del tuo amore

È che non sono in grado di amarti di più

Quel che più mi infastidisce dei miei cinque sensi

È che restano cinque… nessuno di più

Una donna straordinaria come te

Ha bisogno di sensi straordinari

Amori straordinari

Lacrime straordinarie

E di una quarta religione

Che abbia i suoi precetti, i suoi  rituali, il suo paradiso e il suo inferno

Una donna straordinaria come te

Ha bisogno di libri scritti per lei sola

Di un dolore che sia solo suo

Di una morte che sia solo sua

E di un tempo con milioni di stanze

In cui abitare da sola

Ma io, purtroppo

Non sono in grado di impastare gli attimi

A mo’ di anelli da metterti alle dita

L’anno infatti è governato dai mesi

I mesi dalle settimane

Le settimane dai giorni

E i miei giorni sono governati dal susseguirsi della notte e del giorno

Nei tuoi occhi viola.

إلى ف ز

أكثرُ ما يعذّبني في حُبِّكِ..

أنني لا أستطيع أن أحبّكِ أكثرْ..

وأكثرُ ما يضايقني في حواسّي الخمسْ..

أنها بقيتْ خمساً.. لا أكثَرْ..

إنَّ امرأةً إستثنائيةً مثلكِ

تحتاجُ إلى أحاسيسَ إستثنائيَّهْ..

وأشواقٍ إستثنائيَّهْ..

ودموعٍ إستثنايَّهْ..

وديانةٍ رابعَهْ..

لها تعاليمُها ، وطقوسُها، وجنَّتُها، ونارُها.

إنَّ امرأةً إستثنائيَّةً مثلكِ..

تحتاجُ إلى كُتُبٍ تُكْتَبُ لها وحدَها..

وحزنٍ خاصٍ بها وحدَها..

وموتٍ خاصٍ بها وحدَها

وزَمَنٍ بملايين الغُرف..

تسكنُ فيه وحدها..

لكنّني واأسفاهْ..

لا أستطيع أن أعجنَ الثواني

على شكل خواتمَ أضعُها في أصابعكْ

فالسنةُ محكومةٌ بشهورها

والشهورُ محكومةٌ بأسابيعها

والأسابيعُ محكومةٌ بأيامِها

وأيّامي محكومةٌ بتعاقب الليل والنهارْ

في عينيكِ البَنَفسجيتيْنْ…

DUBITI FORSE? – Nizar Qabbani

Posted in Amore, musica, poesia with tags , , , on 17 gennaio 2012 by pensabeneperez

Nizar Qabbani (1923 Damasco – Londra 1998 ). Poeta eccelso, non solo poeta d’amore ma anche vate del panarabismo e della rivalsa palestinese.

il 15 – 12 – 1981 perse Balqis l’amata seconda moglie irachena, la quale si trovava a Beirut presso l’ambasciata irachena la quale fu bombardata. Era il periodo della guerra civile libanese. L’elegia che scrisse in morte della defunta consorte rivolta ai capi di stato arabi comincia così: “Grazie a voi / Grazie a voi / la mia amata è stata assassinata / adesso potete bervi un bicchere sulla sua tomba”

Nizar è molto famoso per le sue poesie d’amore, emozionanti e romantiche, le hanno cantate tutti i più grandi esponenti della musica araba del secolo scroso e continuano a cantarle in questo (Umm Kulthum, Mohammed al-Wahhab, ‘Abd al-Halim Hafez, Majda al-Rumi, Kazem al-Saher). Questo è  un video di Kazem al-Saher (cantante iracheno contemporaneo) in cui canta la poesia Hal ‘Indaki Shakk (Dubiti forse) modificandone leggermente il testo e omettendone alcune parti, sotto il video la traduzione integrale dei versi di Qabbani.

N.B. la traduzione non vuole essere una traduzione letteraria/poetica, quanto piuttosto una trasposizione in italiano senza alcuna velleità artistica)

 Dubiti forse di essere la donna più dolce del mondo?E la donna più importante del mondo?

Dubiti forse che, da quando ti ho incontrata,

sia entrato in possesso delle chiavi del mondo?

Dubiti forse che, quando ho toccato la tua mano,

Sia mutata la conformazione del mondo?

Dubiti forse che quando hai varcato il mio cuore

Sia stato il giorno più straordinario della storia

E la notizia più bella del mondo?

Dubiti forse di chi tu sia?

O colei che con i suoi occhi si è insediata nelle sezioni del tempo

O donna che abbatte, solo passando,  il muro della voce

Non so cosa mi succeda

è come se fossi la mia prima donna

Come se, prima di te, non avessi amato

Come se non avessi mai professato amore

Tu sei la mia genesi.. prima di te non ricordo di essere stato

Tu sei la mia protezione… prima della tua tenerezza  non ricordo di essere vissuto

Come se, o regina, dal tuo ventre come un uccello sia fuoriuscito

Dubiti forse di essere parte della mia essenza,

che abbia rubato il fuoco dai tuoi occhi

e che abbia compiuto la più profonda delle mie rivoluzioni

O fior di rosa,  rubino,  basilico

Sultana

Ragazza del popolo

L’unica legittima tra tutte le regine

Pesce che nuota nelle acque della mia vita

Luna che sorge ogni sera sulla soglia delle parole

la più grandiosa delle mie conquiste

l’ultima patria in cui nasco,

in cui vengo seppellito,

e in cui pubblico i miei scritti.

O donna meravigliosa, o donna mia,

non so come fu che l’onda mi gettò ai tuoi piedi

Proprio non so come tu sia giunta a me

né come io sia giunto a te

O colei sulla quale si affollano tutti gli uccelli del mare

Per prendere dimora sul tuo seno

Quanto fu grande la mia fortuna quando ti incontrai

O donna che entri nella composizione della poesia

Calda sei come la sabbia del mare

Splendida come la notte del destino

Dal giorno in cui hai bussato alla mia porta, è iniziata la vita

Quanto è diventata bella la mia poesia,

da quando si è ingentilita tra le tue mani.

Quanto sono diventato ricco…e forte

Da quando Dio ti ha  donato a me

Dubiti forse di essere la fiamma che vive nei miei occhi

E che le tue mani siano una luminosa  continuazione delle mie?

Dubiti forse

Che le tue parole escano dalle mie labbra?

Dubiti forse

che io sia dentro te

e tu dentro me ?

O fuoco che necessita del mio essere

Frutta che ricopre i miei rami,

Corpo che taglia come spada

E percuote come vulcano

O seno odoroso come una piantagione di tabacco

Che corre verso di me, come un destriero

Dimmi

Come mi salverò dalle onde del diluvio universale

Cosa farò di te?  sono in uno stato di assuefazione

Dimmi, qual è la soluzione? Ormai la passione

È giunta ai confini dell’alienazione

 

هل عندكِ شكٌّ أنكِ أحلى امرأةٍ في الدنيا ؟.

وأهمُّ امرأةٍ في الدنيا ؟.

هل عندكِ شكٌّ أني حينَ عثرتُ عليكِ ..

ملكتُ مفاتيحَ الدُنيا ؟.

هل عندكِ شكٌّ أني حينَ لمَسَتُ يديكِ

تغير تكوينُ الدنيا ؟.

هل عندكِ شكٌّ أن دخولكِ في قلبي

هو أعظمُ يومٍ في التاريخ ..

وأجملَ خبرٍ في الدنيا ؟.

هل عندكِ شكٌّ في من أنتِ؟

يا من تحتلُ بِعينيها أجزاء الوقت

يا امرأةً تكسِرُ حينَ تمُرُّ ، جدار الصوت

لا أدري ما ذا يحدث لي ؟

كأنكِ أنثاي الأولى

وكأني قبلكِ ما احببت

وكأني ما مارستُ الحبَّ ..ولا قبلتُ ولا قُبلت

ميلادي أنتِ.. وقبلكِ لا أتذكرُ أني كنت

وغِطاءِ أنتِ .. وقبل حنانِكِ لا أتذكرُ أني عِشت ..

وكأني أيتها الملكة ..من بطنكِ كالعصفورِ خرجت …

هل عندكِ شكٌّ أنكِ جزٌ من ذاتي

وبأني من عينيكِ سرقتُ النَّار ..

وقمتُ بأخطرِ ثوراتي

أيتها الوردةُ .. والياقُوتةُ .. والريحانةُ ..

والسلطانةُ ..

والشعبيةُ ..

والشرعيةُ بينَ جميعِ الملِكاتِ ..

يا سمكاً يسبحُ في ماءِ حياتي

ياقمراً يطلع كل مساءٍ من نافذةِ الكلماتِ ..

يا أعظمَ فتحٍ بينَ جميعِ فتوحاتي

يا آخرَ وطنٍ أُولدُ فيهِ ..

وأدفنُ فيهِ ..

وأنشرُ فيهِ كتاباتي ..

يا مرأةِ الدهشةِ .. يا امرأتي

لا أدري كيفَ رماني الموجُ على قدميكِ

لا أدري كيفَ مشيتِ إليَّ ..

وكيفَ مشيتُ إليكِ ..

يا من تتزاحمُ كل طيور البحرِ ..

لكي تستوطنَ في نهديكِ ..

كم كانَ كبيراً حظي حينَ عثرتُ عليكِ ..

يا امرأةً تدخلُ في تركيبِ الشِعر ..

دافِئةٌ أنتِ كرملِ البحر ..

رائِعةٌ أنتِ كليلةِ قدر ..

من يوم طرقتِ البابَ عليَّ .. ابتدأ العُمر ..

كم صارَ جميلاً شعري ..

حينَ تثقفَ بينَ يديك ..

كم صرتُ غنّياً .. وقويّاً ..

لما أهداكِ اللهُ اليّْ ..

هل عندكِ شكٌ أنكِ قبسٌ من عينيّْ

ويداكِ هما استمرارٌ ضوئيٌّ ليديّْ ..

هل عندكِ شكٌ ..

أنَّ كلامكِ يخرجُ من شفتي ّْ ؟

هل عندكِ شكٌ ..

أنّي فيكِ .. وأنكِ فيّْ ؟؟

يا ناراً تجتاحُ كياني

يا ثمراً يملأُ أغصاني

يا جسداً يقطعُ مثلَ السّيفِ ،

ويضرِبُ مثلَ البركانِ ..

يا نهداً يعبقُ مثلَ حقولِ التبغِ ِ

ويركضُ نحوي كحصانِ ..

قولي لي :

كيفَ سأنقذُ نفسي من امواجِ الطوفانِ..

ماذا أفعلُ فيكِ؟. أنا في حالةِ إدمانِ ..

قولي لي ما الحلُّ ؟ فأشواقي

وصلت لحدود الهذيانِ …

Dedicata a FZ

 

Palestinese, il mio nome è Palestinese – فلسطيني ، أنا اسمي فلسطيني

Posted in letteratura araba contemporanea, palestina, poesia with tags , , , , , , , on 19 dicembre 2011 by pensabeneperez

Traduzione della poesia del poeta palestinese Bilal ‘Abd Allah – Palestinese, il mio nome è Palestinese,

declamata in questo video (con i sottotitoli in turco) da una bambina palestinese di cui non conosco il nome:

Sono Palestinese, il mio nome è  Palestinese

Ho inciso il mio nome su tutte le piazze

A chiare lettere, sopra tutte le altre insegne

Le lettere del mio nome sono parte di me, mi vivono dentro,  mi sostentano

Irradiano  fuoco nell’anima, mi  pulsano nelle  vene

La montagna del fiume e le grotte mi conoscono, mi parlano

Tutta me stessa ho logorato urlando alla mia nazione: “Sii   

 come Saladino, che mi invoca dal profondo della terra

Alla vendetta, alla liberazione, mi incita il mio sangue arabo,

Le mie bandiere che sovrastavano la collina di Tiberiade”

 (riferimento alla battaglia di Hattin del 1187 durante la quale Saladino sconfisse definitivamente i crociati)

La voce del muezzin della moschea al-Aqsa ci implora: “salvatemi”

Migliaia di carcerati e migliaia di prigionieri

Ci invoca la grandiosa nazione, in milioni incitano:

“A Gerusalemme,  a una guerra che abbatta l’ingiustizia, annientando il sionismo

e nel cielo dell’universo innalzi la bandiera palestinese”

Ma  invano  scorrono le mie parole

Palestinese,

 Palestinese,

Palestinese.

IL SAPORE DELLA CARNE UMANA – Racconto breve di Mahmud al-Rimawi

Posted in letteratura araba contemporanea, racconti brevi with tags , on 6 dicembre 2011 by pensabeneperez

 

Mi sedetti con loro al tavolo ma per qualche ragione non avevo fame mentre loro erano palesemente affamati, come rivelava la loro foga e gli sguardi voraci. Da quel che sembrava, la fame, o meglio l’appetito  era il motivo della loro allegria e dei loro schiamazzi, mentre,  per quanto mi riguarda, la disappetenza era cagione di avvilimento e esclusione.

–          Devi mangiare

–          No. Non mangerò. Berrò qualcosa.

–          Probabilmente non hai mai assaggiato prima questi piatti di mare.

–          Di quelle cose mangio solo il pesce ma non ne vedo sul tavolo.

Poco dopo erano già completamente intenti a ingozzarsi di carni marine e non, mentre io avevo cominciato a sorseggiare lentamente la mia bevanda, e poco a poco si allontanarono da me. Non ero più con loro. Si strappavano le pietanze a vicenda sbranandole, del tutto assorti e totalmente consacrati a quelle prede. Intanto, qualche parola cadeva dalle loro labbra, troncata e strascicata. Parole che a me sembravano intinte nel sangue. Parole mischiate a risate rantolanti unte d’olio. Nel frattempo borbottavano annuendo uno dopo l’altro a mo’ di approvazione.

Non appena ebbero finito di mangiare quei sentimenti di benevolenza reciproca andarono scemando…  non appena furono sazi smisero anche di avere voglia di conversare, occupati, com’erano,  a respirare affannosamente, risultato dello sforzo estenuante che ognuno di loro aveva compiuto. Cominciarono a scambiarsi sguardi schivi e imbarazzati pregni di afflizione e senso di smarrimento, fino a che non si domandarono a vicenda quale fosse la bevanda adatta dopo aver mangiato (a me non lo chiesero, in considerazione del fatto che avevo già bevuto). Si accordarono sul tè alla menta mentre ognuno di loro mi guardavano in modo scettico.

–          Hai rinunciato a un ottimo pasto.

Disse uno di loro e gli altri due assentirono.  Disse ciò in modo serissimo. Un po’ meno serio, per gentilezza ed educazione gli risposi:

–          Voi almeno, non vi avete assolutamente rinunciato!

Certo che non avevano rinunciato. Avevano infatti mangiato e si erano saziati fino a riempirsi. Sembrava come  se la frase che avevo detto per gentilezza e forse anche un po’ per scherzare avesse richiamato la loro attenzione su un pericolo reale che poteva minacciarli …. a causa mia,  di fronte a qualsiasi errore o confusione nelle valutazioni e nelle considerazioni di cortesia. Avevano davvero rinunciato al loro agognato pasto di carni. Ma se ne erano accorti tardi, mentre prima  erano stati accecati dalle buone intenzioni… ma adesso che se n’erano accorti  rendendosi conto del pericolo, i loro sguardi appuntiti come coltelli avevano iniziato ad addentarmi al punto che mi immaginai che stessero per divorarmi.

Mi alzai e loro si preparano a loro volta ad alzarsi, ma io ero più veloce di loro e me ne andai in fretta.

Per strada cominciai a farmi domande sul sapore della carne umana rimproverandomi per la mia scarsa competenza su quest’argomento.

Mahmud al-Rimawi è u giornalista e scrittore palestinese (Bayt al-Rima – 1948) residente ad ‘Amman, molto famoso per i suoi racconti brevi. Nel 1997 ha vinto anche il premio palestinese per il racconto breve consegnatogli da Mahmud Darwish che era membro della commissione giudicatrice. Alcune sue opere sono state tradotte in inglese e in frances, in italiano, che io sappia, non ancora o per lo meno non sono state pubblicate.

AL-KUFFIYYE AL-‘ARABIYYE, (LA KEFFIYYA ARABA) – Traduzione del testo della canzone di Shadia Mansour

Posted in letteratura araba contemporanea, palestina, poesia, rap with tags , , , , on 25 novembre 2011 by pensabeneperez

Shadia Mansour è una cantante/rapper palestinese che risiede tra la Palestina e Londra, recentemente si è esibita al Forte Prenestino a Roma.

Qui di seguito il testo, la traslitterazione e la traduzione italiana. (per il testo e la traslitterazione ringrazio questo forum)

صباح الخير يا ولاد عمومنا
Saba7 il5eir ya wlad i3momna

Buongiorno cugini (gli ebrei) .

تفضّلو و شرّفونا
Tfadalo o sharifona
Prego, onorateci della vostra presenza .

شو بتحبّو منضيّفكن؟ دم عربي ولا دموع من عيونا؟
Sho bit7ibo indayfkon, dam 3arabi wela domo3 min 3oyona
Cosa volete che vi offriamo, sangue arabo o lacrime dai nostri occhi?

بَعتقد هيك تْأمّلو تستقبلوهن هيك تعقّدو لما أدركو غلطهن
Bi3ti2id hek it2amalo nista2bilon Hek t3a22ado lama idarko 3’altiton
Credo proprio che loro speravano di essere accolti così. Guarda quanto si sono innervositi quando hanno capito il loro sbaglio
هيك لْبسنا الكوفية البيضاء و السوداء
Hek ilbisna ilkofiye ilbayda wil sawda
E così ci siamo messi la keffiyya, quella bianca e nera.

صارو يلعبو زمان يلبسوها كموضة
Saro yil3abo zaman yilbisoha ka moda
Altri ormai hanno giocano da tempo a indossarla per moda.

مهما يتفنّنو فيها مهما يغيّرو بلونها
Mahma itfanano fiha Mahma ghayaro iblona
Non importa quanto la abbelliscano né quanti colori cambino,

كوفية عربية بِتظلّ عربية
Kofiye 3arabiye bidala 3arabiye
Una keffiyya araba, resta araba.

حطتنا بِدهُن إياها ثقافتنا بدهن إياها
7atitna bidon iyha Thakafitna bidon iyha
Vogliono la nostra keffiyya (lett. fascia)vogliono la nostra cultura.

كرامتنا بدهن إياها كل شيء اِلْنا بدهن إياه
Karamitna bidon iya Kol shi ilna bidon iya
Vogliono la nostra dignità, vogliono tutto quello che è nostro.

لا ما راح نسكت لهن نسمح لهن
La ma ra7 nesketlen nesma7len
No, non staremo in silenzio, non glielo permetteremo.

لا لا لبق لي
La la labe2li
No, no. Non mi sta bene.

يسلمه الشغلة مش اِلْهم ما خاصهن فيه
Yislamo ilshaghle msh elhem ma 5ason fih
Grazie. La cosa non è loro. Non ha niente a che vedere con loro.

قلّدونا بيلتبسو لبس وهالأض بيكفيهنش
2ldoona byeltebes lebes W hal ard bekafehenesh
Ci imitano pure sui vestiti. Non gli bastava questa terra?.

طمعانين على القدس قدس اعرفو كيف تقولو بشر
Tam3aneen 3al Quds Quds E3rfou keef etqoolu bashar
Ambiscono a  Gerusalemme, Gerusalemme. Imparate a dire umanità!

قبلما تلبسو الكوفية جينا نذكّركُن مين احنا
Abl ma tilbiso ilkofiye, Jina inzakirkon men i7na
Prima che vi mettiate la keffiyya, veniamo a ricordarvi chi siamo
و عصبان عن أبون ها حطتنا
O 3’asbin 3an aboun hay 7atitna
Che vi piaccia o no questa è la nostra keffiyya

ritornello

هيك لبسنا الكوفية (لأن وطنية) الكوفية كوفية عربية
Hek ilbisna il koufiye La2ina wataniye Il koufiy ilkoufiye il3arabiye
Così ci si siamo messi la keffiyya (perchè è patriottica), la keffiyya è la keffiyya araba.

هيك لبسنا الكوفية هويتنا الأساسية الكوفية كوفية عربية
Hek ilbisna il koufiye Hawayitna il2asasiye Il koufiy ilkoufiye il3arabiye
Così ci siamo messi la keffiyya (la nostra identità fondamentale), la keffiya è la keffiya araba.

يلا علو الكوفية علولي هالكوفية الكوفية كوفية عربية
Yallah 3alo ilkoufiye 3alo hal koufiye Ilkoufiye ilkoufiye il3arabiye
Forza, in alto la keffiyya (alzate questa keffiyya per me), la keffiya è la keffiya araba.

علوها يا بلاد الشام كوفية عربية بتظلّ عربية
3aloha ya blad ilsham, koufiye 3arabiye bidala 3arabiye
alzatela,  o Bilad al-Sham (la zona che oggi è composta da Siria, Libano, Palestina e Giordania) la keffiyya araba resta araba.

ما في بعض مثل الشعب العربي
Mafi ba3d mitl il sha3b il3arabi,
Non c’è nessuno come il popolo arabo

فرجوني إي أمّة في الدنيا أكثر مؤثّرة
Farjouna ay umeh fil donya aktar mo2athare
Mostratemi una qualsiasi nazione più vessata
الصورة واصحة احنا الحضارة
Ilsoura wadha na7na ilhadara
l’immagine è nitida, noi siamo la civiltà.

تاريخنا و تراثنا هي الشاهد على وجودنا
Tari5na wa torathona shaheed 3a wojodna
La nostra storia e il nostro patrimonio culturale sono i testimoni della nostra esistenza.

من هيك لْبسنا الثوب الفلسطيني
Minha ilbesna iltowb ilfalasteeni
Perciò abbiamo indossato l’abito palestinese.

من حيفا جنين جبل النار إلى رام الله
Min Haifa jenin jabl ilnar ila Ramallah
Da  Haifa, Jenin, Jabal an-Nar fino a Ramallah

خلّيني اشوف الكوفية البيضاء والحمراء
5alini shouf ilkoufiye il bayda wil hamra
Fammi vedere la keffiyya, quella bianca e rossa.

خلّيني نعليها لفوق بالسماء
5alini in3aliha la fou2 ilsama
fammela alzare in alto nel cielo.

أنا شادية العربية لساني بيغوظ غاظ
Ana Shadiato el3arab Lesani beyghoz ghaz
Sono  la Shadia degli arabi (Shadia oltre a essere un nome significa cantante),  la mia lingua trafigge come ul coltello.

زلزالي بهزّ هزّ كلماتي حرف
Zelzali bhiz haz Kalimati 7aref
Il mi terremoto trema possente le mie parole sono una lettera.

سجّل انا شادية منصور والحطة هويتي
Sajil ana Shadia Mansur Wil 7ata hawiyti
Scrivi: sono Shadia Mansur e la keffiyya e la mia identità

(Citazione alla famossissima poesia di Mahmud Darwishcarta d’identità)

من يوم ما خلقت و سيدي والشعب مسؤوليتي
Min youm ma5li2it o sidi wil sha3b mas2oliti
Dal giorno in cui fui creata porto la responsabilità del mio popolo.

هيك انا تربّيت بين الشرق والغرب
Hek ana itrabit Bayn ilshar2 o bayn il3’arb
Così sono stata cresciuta , tra l’oriente e l’occidente

بين لغتين بين البخيل و بين الفقير
Bayn lo3’atayn Bayn bayn bakheel bayn fa2eer
tra due lingue, tra l’avaro e il ricco.

شُفت الحياة من الشكتين
Shoft il7aya mnel shaktein
Ho visto la vita da entrambi i lati.

أنا مثل الكوفية
Ana mitl il koufiye
Sono come la keffiyya.

كيفما لبستوني وينما شلحتوني بظلّ على أصولي فلسطيني
Keef ma lebestoni, wayn mashli7toni badalni 3a 2osoli, Falastiniye
Comunque mi vestiate o mi spogliate, la mia origine resta: palestinese.
ritornello

COMINCIAMMO LA NOSTRA GIORNATA – Racconto breve di Mahmud al-Rimawi

Posted in letteratura araba contemporanea, racconti brevi with tags , , on 24 novembre 2011 by pensabeneperez


Una mattina invernale, molto presto, mi svegliai d’improvviso, senza passare per quella zona intermedia tra sonno e veglia. Come un apparecchio cui era stata staccata la corrente d’un tratto mi bloccai, persi voce e movimento, ritrovandomi nudo sulla riva di una mattinata precoce in una amara veglia. La testa svuotata dai pensieri come un orologio “sfasato”. Che aspra similitudine!  Tuttavia calzante, come un idea muta che, sebbene stesse proprio sopra di me, non riuscivo a raggiungere. Mi girai con un movimento semi-istintivo ed vidi l’orologio accanto a me sopra il tavolo: le sette passate. Non c’era tempo. Il tempo è severo e definitivo, senza compassione né ritorno. Mi adeguai. Dopo dieci minuti ero arrivato interamente davanti all’ingresso dell’edificio. Ero in uno stato di paura e turbamento. E quando vidi l’autobus arancione, proprio lui, accovacciato davanti a me, rimasi prosciugato sul posto, malgrado mi ci imbattessi ogni giorno. Era veramente un autobus strano, tuttora ignoro la ragione profonda per cui è stato scelto per questa missione, giacché non aveva la sagoma dei soliti autobus: era largo, di forma più o meno quadrata, arcuato e convesso ai lati, come un ammasso di residui minerali.

Aveva pareti solide e spesse come quelle di un carro armato. Le finestre  erano alte e strette come quelle di una prigione. Quanto alla parte anteriore dell’autobus, davanti all’autista, era piccola e sottile, come il muso di una volpe. E l’autobus arancione, accovacciato come un animale mitologico, emetteva un grido soffocato e acuto: era il suono del clacson. Un suono senza melodia, stabilità o regolarità temporale che fuoriesce solo quando meno te l’aspetti. Questo suono era ciò che riuniva i bambini e gli scolari, e li catturava. I bambini, i bambini dei vicini, accorrevano con i loro abiti bianchi e blu, con i loro visi assonnati e pallidi, gli occhi sottili e vaganti, i piedi incespicanti e scalpitanti, con gli zaini pesanti, ciondolanti, che pendevano verso terra. Accorrevano uno dopo l’altro  affrettandosi  dietro di me, senza pronunciare alcuna parola, bensì emettendo dei suoni spezzati, dei lamenti prolungati, come se dei cacciatori avessero sparato in un campo e gli uccellini cercassero rifugio dentro la gabbia. Eccetto quelli che cadevano per terra lanciando gridi di terrore soffocati. Alcune madri e anche alcuni padri stavano fermi presso gli ingressi in pigiama, controllavano i frutti delle loro viscere con gli occhi aperti e ferma risolutezza  affinché non tornasse alcun inutile ragazzo. Vedevo attraverso le finestre chiuse e strette, oltre l’oscurità della mattina, le loro teste accostate e l’ultimo bagliore nei loro occhi: il destino li aveva raggiunti fino a impadronirsene; io non avevo alcun bambino da ammonire o consigliare, avevo solo la mia testa davanti a lo scenario astante, che rievocava i suoi ricordi metodicamente, uno dopo l’altro: immagini restituivano immagini. E non appena il cortile dell’edificio si svuotò dagli scolari e l’autobus si mise in marcia con grandiosa lentezza verso l’edificio confinante, uscii nel fiume della strada diretto al mio posto di lavoro, con l’energia di ogni giorno. La paura della veglia mi aveva abbandonato, si era liberata. Si era liberata quanto bastava. Dopo quel momento rimasero solo bambini sgozzati che portavano la mia coscienza e di cui io, nell’abisso della giornata e della vita, dimenticai presto le fattezze.

Mahmud al-Rimawi

PENA DI MORTE – Racconto breve di Mahmud al-Rimawi

Posted in letteratura araba contemporanea, racconti brevi with tags , , , , on 20 settembre 2011 by pensabeneperez

Quando in strada tutto fu calmo e fermo, le famiglie permisero di uscire ai bambini, smaniosi di correre e giocare.  Tuttavia, poiché sembravano avr smarrito la voglia dei vecchi giochi di sempre, indissero una riunione.  Cominciò a parlare il più grande, ‘Abd al-Jabbàr, con occhi che sprizzavano scintille e impazienza:

–          Non giocheremo a moscacieca!

Gli altri risposero a voce alta:

–          Non giocheremo a moscacieca!

Sorrise con soddisfazione e continuò senza esitare :

–          Non giocheremo a guardie e ladri!

Ripeterono all’unisono come fossero in classe davanti al maestro:

–          Non giocheremo a guardie e ladri!

Alzò la testa, poi gridò, con una voce che era tutta ardore e determinazione.

–          Non giocheremo al gioco delle sette pietre!

Annuirono dicendo simultaneamente:

–          Non giocheremo al gioco delle sette pietre!

Dopodiché ‘Abd al-Jabbàr riprese fiato e tacque mente i suoi occhi giravano esaminando il viso dei suoi compagni.  Al ché disse a voce bassa ma decisa.

–          Giocheremo a un gioco nuovo.

I bambini rimasero in silenzio, aspettando.

–          Giocheremo a turno, a due a due, a un gioco nuovo

La smania e l’eccitazione s’impossessarono dei loro volti.

–          Il gioco si chiama “ il poliziotto e il cittadino”

Essi allora sorrisero rasserenati. Ma il viso di ‘Abd al-Jabbàr divenne nero di collera:

–          Come se lo conosceste. Nessuno lo conosce, è un gioco nuovo.

Uno di loro proruppe domandando, mentre gli altri serbarono il loro silenzio:

–          Se non lo conosciamo, come ci giocheremo?

Sentendosi potente e superbo, il sollievo gli si diffuse nella anima

–          Ascoltate.  Il poliziotto ama portare le armi. Al cittadino, invece, è vietato portare armi. Perché dunque non dovrebbe essere un ladro o un criminale? capite?  Il poliziotto e il cittadino.  Il poliziotto lo insegue da dietro o da sopra il muro, e qualora il cittadino si stanca o inciampa o scivola,  il poliziotto lo arresta e lo processa. Ma se il cittadino resiste allora diventa guardia e si gioca un altra volta, capito?

Lo stupore li colpì per lo sgomento iniziale, cominciarono a ripetersi l’un l’altro ciò che aveva detto ‘Abd al-Jabbàr. Poi agitati si misero a correre a perdifiato, ognuno di loro desiderava iniziare il gioco. ‘Abd al-Jabbàr disse, indietreggiando di qualche passo.

–          A sorteggio, cioè a sorte.

Si legò un fazzoletto attorno alla testa sopra gli occhi e tese le braccia parallelamente in avanti, la sua cominciò a passare sulle teste dei bambini che si erano accalcati di fronte a lui, fino a che ne prese uno di nome Muntasir.

Sussultarono quando ‘Abd al-Jabbàr saltò sul muro vicino.

–          Vieni qua cittadino sovversivo!

Il cittadino Muntasir fuggì e il poliziotto, dopo essere saltato a terra, lo inseguì, ma Muntasir a sua volta si arrampicò sul muro.  Il poliziotto allora congiunse le dita delle mani a impugnare un’immaginaria pistola cominciando a emettere suoni simili al rumore degli spari.  Il cittadino abbassò la testa e gli rispose col fuoco. Continuarono a spararsi reciprocamente e ad abbassarsi a turno fino a che Muntasir si defilò un istante per poi saltare addosso ad ‘Abd al-Jabbàr cogliendolo di sorpresa. Urlò allora ‘Abd al-Jabbàr, gonfio di rabbia:

–          Ecco, l’ho arrestato!

Al ché Muntasir, turbato e incredulo, disse:

–          … Ma.. sono io che l’ho fatto…

‘Abd al-Jabbàr, scuotendo la testa a destra e sinistra per esprimere il suo dissenso, replicò:

–          È  il poliziotto che arresta il cittadino sospetto, tu ti sei consegnato autonomamente, in vita tua hai mai visto un cittadino che arresta una guardia?

I bambini scoppiarono a ridere, alcuni di loro non nascondevano la loro ammirazione per il poliziotto e per il gioco.

Dopodiché ‘Abd al-Jabbàr avviò il processo di Muntasir.

–          Se stato arrestato in flagrante delitto, ecco loro sono testimoni, tu sparavi contro  il poliziotto.

Poi si girò verso i bambini domandando loro:

–          Non avete visto voi stessi e non avete sentito il rumore degli spari?

Alcuni negarono con il silenzio ma altri furono d’accordo:

–          Lo abbiamo visto, lo abbiamo sentito.

‘Abd al-Jabbàr sbatté il piede a terra.

–          Pertanto la sua sentenza è la condanna a morte, prendetelo.

Alcuni avanzarono e lo presero, mentre gli altri erano preda di sbigottimento e sconcerto.

Quanto ad ‘Abd al-Jabbàr egli non scherzava né sorrideva, come se tutto fosse serio.

Corse verso casa e dopo qualche istante tornò con un grande catino:

–          Allontanatevi da lui

Si allontanarono, tutti spostavano i loro sguardi dal poliziotto a Muntasir il condannato…

–          Chiudi gli occhi

Sorrise Muntasir con timore e fiducia poi chiuse gli occhi. Il poliziotto invece gli occhi li aprì in tutta la loro larghezza e versò sopra la testa di Muntasir il petrolio contenuto nel catino, inzuppando i suoi vestiti. Rapidamente poi accese un fiammifero di zolfo che teneva in mano e con delicatezza lo tese verso i vestiti di Muntasir che presero fuoco.

Ammonì ‘Abd al-Jabbàr i bambini dicendo:

–          Guardatevi dal fuoco, scappate!

Egli corse via e corsero dietro di lui tutti gli altri, terrorizzati.

Alcuni si fermarono per voltarsi indietro, domandandosi se il gioco era finito oppure no.

Muntasir continuò a bruciare da solo.

Mahmud al-Rimawi è u giornalista e scrittore palestinese (Bayt al-Rima – 1948) residente ad ‘Amman, molto famoso per i suoi racconti brevi. Nel 1997 ha vinto anche il premio palestinese per il racconto breve consegnatogli da Mahmud Darwish che era membro della commissione giudicatrice. Alcune sue opere sono state tradotte in inglese e in frances, in italiano, che io sappia, non ancora o per lo meno non sono state pubblicate.

Il Cairo durante regime fatimita…

Posted in attualità, califfi with tags , on 2 febbraio 2011 by pensabeneperez

E intanto guardo al-Jazira dove c’è uno che continua a dire che a Tahrir è una Magzara, magzara… (carneficina, strage)

Al Cairo ci sono almeno ventimila botteghe, tutte di proprietà del sultano. Molte di esse vengono affittate a dici dinari magrebini al mese, nessuna si affitta a meno di due dinari. I caravanserragli, i bagni pubblici e gli altri edifici, talmente tanti da essere incalcolabili, sono TUTTI di proprietà del sultano, giacché  NESSUNO ha diritto di possedere immobili o case oltre la propria abitazione e ciò che ha costruito per se stesso. Ho sentito che il sultano possiede ottantamila case al Cairo e in Egitto che affitta e di cui riscuote la pigione ogni mese. Le affittano alla gente a loro piacimento , poi riscuotono l’affitto:  NESSUNO ha  potestà su nulla.

Nāṣir Ḫusraw – Safar Nāma

–          Nāṣir Ḫusraw : (qua nella trascrizione dall’arabo e non dal persiano) Autore persiano  di confessione ismailita (1004-1088), il Safar Nāma è il resoconto di un lungo viaggioche intraprese dal 1042 al 1049 per il territorio islamico


Quel 14 dicembre 2010

Posted in comunismo, lotta politica, rivoluzione with tags , , , , , on 15 dicembre 2010 by pensabeneperez

Oggi niente traduzioni né arabismi, pubblico un raccontino molto fantascientifico scritto da un certo Yusuf su ispirazione dei fatti di ieri.

 

Quel 14 dicembre 2010

Ora che abbiamo le braccia anchilosate dall’artrite e le gambe tremolanti, quando cominciano gli scontri alle manifestazioni rimaniamo dietro, assieme ai vecchi come noi e a quelli che non se la sentono di andare avanti. Fino a qualche tempo fa ci portavamo i limoni per distribuirli tra i compagni, ma ormai sono pressoché inutili contro i nuovi gas lacrimogeni in dotazione alle forze dell’ordine.

Anche solo guardando, senza tirare pietre né alzando barricate, tuttavia, l’adrenalina che ci invade è la stessa.

Quella sensazione meravigliosa di sentirsi completamente vivi.

Abbiamo visto affilatissime sciabole giapponesi dimezzare gli scudi della guardia di finanza, caviglie di poliziotti azzannate da pitbull addestrati; siamo rimasti immobilizzati per due minuti in seguito all’esplosione delle bombe paralizzanti, abbiamo soccorso compagni massacrati dai manganelli trasparenti, dopo essere stati accecati dalle luci blu dei fari al laser delle camionette.

Le modalità di scontro, così come gli strumenti di repressione, sono cambiati, ma lo spirito che anima la piazza è sempre identico, quell’aria che si respira, pregna degli effluvi chimici dei gas lacrimogeni e allo stesso e allo stesso tempo vivificante.

Oramai è impensabile avvicinarsi alla polizia schierata senza le cosiddette “mascherine ateniesi” che proteggono dalle varie bombe accecanti, assordanti, paralizzanti, urticanti con cui lo stato difende la propria sovranità. Tutti i cortei devono essere sincronizzati con l’opera degli hacker-militanti che da casa mettono fuori uso per qualche ora il sistema computerizzato di videosorveglianza che vigila tutta le città. Gli strumenti dei manifestanti sono progrediti in maniera proporzionale all’evoluzione tecnologica del sistema di difesa dello stato.

 

Tornando dall’ennesimo corteo contro il programma di castrazione chimica dei palestinesi intrapreso da Israele nell’ex striscia di Ghaza, io e Saverio, come spesso accade in questi momenti, ci lasciamo andare ai ricordi delle lotte giovanili, quando ancora le gambe ci permettevano di rimanere in prima fila durante gli scontri. Inevitabilmente ci ritroviamo a parlare, con una certa commozione mista a nostalgia, del 14 dicembre 2010.

Quel giorno cambiò tutto: la rabbia della nostra generazione finalmente esplose dimostrando tutta la sua potenzialità, alimentandosi dell’apporto di tanti giovani che fino a quel momento erano sempre stati estranei alla lotta politica. L’immagine delle forze dell’ordine, che retrocedevano e scappavano terrorizzati dalla gragnuola di pietre e petardi, si impresse negli animi andando a risvegliare la voglia di rivolta che contraddistinse gli anni successivi. A quella data si fa risalire l’inizio del celebre secondo decennio del duemila. Pochi anni dopo Atene veniva liberata e così Dublino. Tutti ricordiamo quanto ci andammo vicino anche a Roma, nel novembre del 2018.

Ci emoziona lasciarci andare ai racconti di certi lanci riusciti particolarmente bene, del fuoco che avvolgeva le camionette che non avevamo mai visto prima, se non in televisione. Sappiamo bene che già domani, come quaranta anni fa, leggeremo sui giornali le solite vecchie polemiche sui presunti infiltrati, unici colpevoli dei disordini del corteo di oggi. La consueta tecnica della sinistra istituzionale per svilire la sacrosanta rabbia dei manifestanti.

Tentiamo di rammentare quale fosse stato il motivo ufficiale della manifestazione di quel 14 dicembre, sebbene poi si sia rivelato assai marginale rispetto all’importanza storica che ebbe quel giorno come prima tappa dell’esacerbazione del conflitto politico. Forse qualche bagarre interna a uno dei governi aziendali che in quegli anni si susseguivano in Italia?

E così chiacchierando ce ne torniamo casa con i piedi distrutti, dopo quest’ennesima manifestazione “violenta” che, forse, non ha risolto nessun problema specifico nell’immediato, ma sicuramente ci ha fatto sentire più umani.

 

 

Yusuf